A differenza della Mediazione conosciuta in Europa, dove il mediatore e’ persona esterna al contesto in cui vivono le parti in conflitto, nella “Mediazione tra pari”, nota anche come “Mediazione di comunità”, il mediatore è una delle persone che appartiene allo stesso gruppo di cui fanno parte le persone in conflitto.
Secondo questo approccio è fondamentale la formazione di alcune persone del gruppo, generalmente le più adatte secondo parametri specifici dell’ambiente in cui vivono, nel nostro caso il reparto femminile di Bollate. Secondo questo approccio la persona detenuta è attore protagonista del processo di mediazione
I risultati attesi sono il miglioramento della qualità della vita dei partecipanti anche nelle relazioni con l’esterno (con le proprie famiglie); la disseminazione nel gruppo del nuovo approccio ai conflitti; la diminuzione delle tensioni e dei conflitti interni al reparto attraverso un utilizzo preventivo di quanto appreso durante il progetto; l’applicazione restaurativa dei possibili conflitti emersi.
La sostenibilità del progetto è intimamente correlata allo spirito che lo anima. Le attività in programma sono tutte indirizzate alla formazione di risorse umane (detenute, agenti penitenziari e volontari). In questo modo si prevede che di seguito alle diverse formazioni ci sia un gruppo stabile di mediazione, formato da detenute, e un gruppo di volontari che possa accompagnare quest’esperienza: l’obiettivo è la creazione di uno sportello di mediazione dei conflitti interno al reparto dove le detenute mediatrici possano incontrare regolarmente le loro compagne e lavorare sui conflitti interni alla loro realtà.